Paolo Croci

Gli Amici del Teatro - Settanta anni di tradizione a Mozzate

Don Emilio Cocchi

La nostra storia incomincia con una delle figure tra le più dolcemente ricordate in Mozzate: don Emilio Cocchi, parroco dal 1915 al 1954. Originario di Gallarate, proveniente da famiglia colta, don Emilio fu sempre raffinato nelle sue scelte e lungimirante nelle attività pastorali. Si rese ben presto conto che le anime a lui affidate avrebbero certamente tratto giovamento e piacere da alcuni "spettacoli edificanti", come allora si chiamavano: chiese aiuto ad alcuni giovani delle famiglie più colte di Mozzate per allestire una Compagnia teatrale. Trovò la pronta collaborazione di alcuni di loro, tra i quali il giovane ragionier Rossi, che divenne ben presto il capo della Compagnia. Ad essi affidò una serie di spettacoli tratti,dal repertorio popolare, che vennero eseguiti, a ricordo di alcuni, con buon successo. 

Accanto a questa Compagnia, rigorosamente maschile, ne venne affiancata un'altra femminile, che faceva capo all'Asilo: la regista e l'interprete principale fu Giannina Muttoni: a lei risale il più antico ricordo di spettacolo interpretato a Mozzate, La sepolta viva: eravamo nel 1925. 

Dunque anche il teatro era, per don Cocchi, un terreno fertile su cui costruire: costruire coscienze cristiane con spettacoli agiografici o con drammi su aspetti della vita umana, che si risolvevano sempre nel migliore dei modi, grazie alla buona volontà dei protagonisti o all'intervento della Provvidenza. D'altra parte il cinema nascente (a quel tempo ancora muto) o gli spettacoli di Milano, di cui si sentiva tanto parlare, forse non sempre aiutavano a questo scopo; bisognava invece far presa sulla gente con i drammi di carattere popolare, capaci di suscitare il pianto, ma anche di smuovere il cuore al bene. 

A Saronno esisteva già una sala cinematografica, ma era lontana: bisognava andarci in treno o in bicicletta. Landoni si ricorda che, bambino, vi andò con lo zio, proprio in bicicletta, per assistere alla proiezione di alcuni film celebri, tra cui La cieca di Sorrento, Le due orfanelle, Scipione l'africano, quest'ultimo in tre puntate. Anche Mozzate doveva avere il suo luogo, per poter realizzare questo genere di spettacoli. Nel piano di ricostruzione e di rinnovamento di tutta la Parrocchia (l'edificazione dell'Oratorio, i restauri e le migliorie della Chiesa di sant'Alessandro) venne inserita anche la costruzione del salone, che, oltre a ospitare proiezioni cinematografiche, sarebbe divenuto la sede privilegiata per gli spettacoli teatrali. 

L'inaugurazione avvenne nel 1926. Nel ricordo degli attori del tempo si dice che il palco era discretamente attrezzato: d'altra parte don Emilio era sensibile alle novità e voleva che le rappresentazioni fossero ben fatte con impianti teatrali degni di tale nome, di cui, tra l'altro, era gelosissimo: guai a rovinare o a maltrattare qualcosa! Infatti il Teatro possedeva fondali e scenari di vario genere: dal giardino, all'interno di una casa, alla chiesa. Anche l'impianto luci era buono, per quei tempi, grazie a un sistema di resistenze ad acqua salata: suo tecnico fu Enrico Cortellezzi. I posti a sedere erano certamente più numerosi di quelli attuali, perché le sedie occupavano meno posto delle poltrone, cosicché gli spettacoli, seguitissimi, erano sempre gremiti di pubblico. 

Col trascorrere del tempo don Cocchi abbellì e completò il locale, costruendo il boccascena e il golfo mistico (la buca dell'orchestra), grazie anche all'intervento dei signori Dell'Acqua e Castelli. In questo luogo vennero realizzati gli spettacoli della prima compagnia teatrale mozzatese: testi parareligiosi e drammi "strappalacrime" erano nel suo repertorio. Essa operò per circa otto anni dal 1926 al 1934. Verso il 1934-1935, ci furono i primi avvicendamenti e i ricordi sull'attività teatrale cominciano a farsi più consistenti. La Compagnia accolse nel suo interno giovani disposti a trascorrere il loro tempo libero recitando: fu questa l'unica condizione richiesta. Non importava il grado di istruzione, bastava mostrare il desiderio di stare insieme in nome della cultura. Certo l'impegno era gravoso e comportava grossi sacrifici: per ogni spettacolo si provava due mesi circa, tutte le sere, dopo l'orario di lavoro, al freddo e si andava in scena a Natale o alle feste principali. 

Dunque faceva parte della filodrammatica gente colta e umile: per questo anche la scelta dei testi dovette adeguarsi al livello degli attori. Non copioni complicati o classici, ma opere con linguaggio chiaro o reso tale dall'intervento semplificatone del parroco. Un aneddoto di quegli anni, rimasto famoso in tutte le compagnie, è quello che racconta la disavventura di un povero attore che non era ferrato sulla grammatica e l'ortografia italiana: dovendo recitare un improperio, «Ah! fegato di merlo», si stupì della strana interiezione iniziale. Pensò allora a un errore di testo e così, nel corso della rappresentazione disse: «Ha fegato il merlo?», una frase senza senso, che suscitò l'ilarità del pubblico e di tutti gli attori. Questa frase divenne proverbiale e ancora oggi viene detta quando qualcuno fraintende il testo che sta recitando o sbaglia nella lettura del copione. I temi rimasero quelli parareligiosi o storici: verso gli anni '36-'37 si recitò, per esempio un testo su san Tarcisio, opera di un missionario. Per le musiche si utilizzarono le due bande presenti in Mozzate: quella dei combattenti e quella dell'oratorio, diretta da Giuseppe Cortellezzi. Esse suonavano in prima fila, quando ancora non esisteva il golfo mistico, ed eseguivano dei brani all'inizio dello spettacolo e durante i cambi di scena. Per quanto riguarda le scene e i fondali bisogna sottolineare che si voleva che fossero il più possibile adeguati al testo rappresentato, cosicché spesso bisognò costruirli ad hoc. In questi casi il lavoro risultò semplice e di scarso effetto: per esempio per il san Tarcisio, il fondale e le quinte furono dipinte su alcune tele poi malamente disposte sul palco: il pubblico riuscì a vedere tutto quello che avveniva dietro. E molti spettacoli subirono eguale sorte! 

Tuttavia la Compagnia cercò di autofinanziarsi il più possibile: un'occasione venne quando, nel 1935 a Mozzate ci fu l'invasione delle lumache rosse! Questi animali proliferarono in maniera abnorme, così da creare un vero e proprio stato di emergenza tra tutta la popolazione: per le strade bisognava stare attenti a camminare, per non calpestarle e scivolare, bisognava tenere chiuse porte e finestre per non permettere agli ospiti indesiderati di invadere le case, la ferrovia era bloccata e i binari letteralmente coperti di lumache, viscide e pericolose per il passaggio dei treni. In questo scenario apocalittico intervenne il commissario fascista della zona, offrendo cinquanta centesimi per ogni barattolo di lumache consegnatogli (esse sarebbero state distrutte poi da specialisti). I componenti la Compagnia non rimasero sordi all'appello: raccolsero tanti barattoli e con i soldi guadagnati si finanziarono parecchi spettacoli.

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