Paolo Croci
Gli Amici del Teatro - Settanta anni di tradizione a Mozzate
La Compagnia maschile di San Martino
Ormai il Teatro "Europa" di San Martino era terminato ed era a disposizione di tutti. Anche i ragazzi, quindi, potevano usufruire di uno spazio scenico, di un luogo più ampio di quell'angusta cappella che li aveva visti nascere al palco. Anche i loro spettacoli potevano essere pensati più alla grande.
Guidati, perciò, da don Osvaldo Bellomi, parroco di San Martino, incominciarono a scegliere testi più impegnativi, con uno sforzo di realizzazione maggiore. Ne fu prova il loro primo spettacolo al nuovo teatro, nel 1958: Il sogno di Arlecchino, una commedia musicale con la regia dello stesso don Osvaldo e con Attilio Rimoldi al pianoforte. In esso vi fu uno dei primi effetti speciali basati sulle luci. Arlecchino, impersonato da Pietro Moiana, si addormenta su di una sedia mentre cala la sera. Si risveglierà più tardi e si fermerà, stupito a guardare le stelle. Per rendere l'effetto della volta celeste che si adornava man mano del luccichio degli astri fu utilizzato un sistema di lampadine collegate in serie in modo tale da diminuire l'intensità della luce.
Nel 1961 la Compagnia propose anche due commedie: una dialettale, di cui non è pervenuto il titolo e una brillante, Quel simpatico commendatore, sempre con la regia di don Osvaldo Bellomi, che utilizzò il poliedrico Attilio Rimoldi come attore e non più come musicista. In quegli anni ci si cimentò anche in un soggetto storico, Il Cid, alla quale partecipò anche Edoardo Zampini, un giovane che in seguito sarà uno dei fondatori dell'attuale Compagnia mozzatese.
Questa Compagnia non si limitò a mettere in scena spettacoli divertenti, ma si pose anche l'obiettivo di introdurre novità nel modo di fare teatro a Mozzate, per educare il pubblico a non essere solo fruitore passivo dell'evento teatrale. Bisognava, cioè, coinvolgere gli spettatori.
Per questo il regista, Attilio Rimoldi, pensò di proporre un testo adatto alla scelta d'impostazione. Fu scelto un giallo dal titolo Delitto in palcoscenico, di Ugo Rossella. Lo spettacolo si sarebbe concluso con la scoperta dell'assassino. Perché non coinvolgere il pubblico e farlo diventare lui stesso attore, o meglio, investigatore? Ecco allora che, al termine delle indagini, svolte sul palcoscenico e prima di rivelare il nome del colpevole, tutti gli attori si presentarono sul proscenio e riproposero una battuta significativa del loro personaggio: tra esse era nascosta quella chiave per risolvere il caso. A questo punto il commissario invitò il pubblico a pronunciarsi sul nome del colpevole. Gli spettatori risposero entusiasti all'invito e cominciarono a dire chi l'uno, chi l'altro, finché non saltò fuori il nome del vero assassino; il commissario chiese all'acuto spettatore il perché della scelta, ma la risposta fu: «Non lo so, ho tirato a indovinare: era quello che mi stava più antipatico».
Questo spettacolo contenne dunque il primo tentativo di sperimentazione che coinvolse le nostre compagnie; altri registi e altri attori seguirono la strada intrapresa, offrendo lavori sempre nuovi e avvincenti anche dal punto di vista di ricerca teatrale.