Paolo Croci

Gli Amici del Teatro - Settanta anni di tradizione a Mozzate

Il muro di vetro 

Subito ci si diede da fare per allestire uno spettacolo. Ormai i gusti del pubblico erano cambiati: il teatro paesano non rappresentava più da tempo l'unico diversivo per i mozzatesi; la televisione e il cinema erano (come lo sono oggi) la fonte principale di intrattenimento; lo stesso grande teatro era diventato più accessibile al pubblico mozzatesi grazie anche alle encomiabili iniziative della Biblioteca. 

Bisognava, dunque, nella coscienza dei propri mezzi e limiti, diventare competitivi, sia per la scelta del testo che nell'impostazione generale del lavoro. D'altra parte lo stesso regista già negli anni Cinquanta aveva iniziato un nuovo modo di fare teatro in Mozzate: non solo rivista o spettacoli leggeri, ma opere che offrivano spunti di riflessione e mostravano aspetti particolari dell'uomo e della società. 

Fu scelto lo stesso testo con cui si era rotto con il passato e che già era stato ripreso negli anni Sessanta: Il muro di vetro di Nello Falomo. Con questo testo si voleva così segnare l'innovativo ripresa della tradizione. Certamente essa fu rispettata: ne sono segno tangibile la povertà del materiale utilizzato e la voglia di creare, che fece "fare miracoli" a chi collaborò per la realizzazione dello spettacolo. Infatti il costo di tutta la rappresentazione si aggirò sulle centomila lire, praticamente la spesa per i manifesti. Per l'allestimento delle scene furono utilizzati vecchi scenari ridipinti. Per le luci, non possedendo ancora un impianto proprio, ci si dovette accontentare di quelle presenti sul palcoscenico più un "occhio di bue" costruito artigianalmente con un piccolo proiettore per diapositive. Questo effetto-luce era importante nell'economia dello spettacolo, in quanto doveva servire per mettere in risalto lo stato d'animo vissuto dai personaggi, in particolari situazioni. 

Anche per la scena finale si ricorse a un piccolo espediente. Si prevedeva per questa scena che l'azione si dovesse svolgere in una cella illuminata dalla luce della luna, che penetrava dalla finestra. L'effetto di per sé non richiedeva particolari accorgimenti: era sufficiente che una luce azzurrina penetrasse dalla finestra stessa. Ma il problema era creato dal fatto che le vecchie scene, costruite sommariamente presentavano grossi sberci e numerosissime fessure. Per evitare che la luce si diffondesse ovunque c'era uno spiraglio, fu necessario costruire un'impalcatura dietro la scena e rivestire quest'ultima con carta e stracci in modo tale che la luce entrasse dalla finestra e solo da essa. Fu Adelio Pagani a realizzare il marchingegno, mentre le luci furono manovrate dal quadro sul palcoscenico da Angelo Moneta. Le musiche, invece, furono scelte e diffuse da Giuseppe Rossoni che, per l'occasione, dovette sdoppiarsi, in quanto recitava anche una parte nello spettacolo. 

L'11 aprile 1981 fu la data "ufficiale" della prima. In realtà lo spettacolo fu presentato in anteprima il 10 aprile solo per gli attori e gli ex attori delle precedenti compagnie. Fu un momento di intensa commozione: la piccola storia dello spettacolo nel nostro paese sembrava raccolta tutta nel teatro per affidare alla nuova Compagnia il testimone della tradizione. 

Un attore di quella sera, ricorda il silenzio attento e partecipe del pubblico che dimostrò di apprezzare l'intensa drammaticità del testo, con le sue situazioni e i temi che l'accompagnavano. L'applauso dopo il primo atto sciolse la tensione degli attori sulle scene e testimoniò l'approvazione da parte del pubblico, approvazione più convinta e calorosa nel finale. Questo stesso spettacolo fu replicato, proprio per il suo argomento di estrema attualità, anche nelle scuole come spunto di riflessione per i giovani. 

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